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Nel Blu Dipinto di Blu: Giotto Maestro Toscano

ART & CULTURE

Leonardo Chiari

22 September 2023

Giotto. (2023, July 18). In Wikipedia


È noto che San Francesco di Assisi, l’uomo che per seguire Cristo si spogliò di tutti i beni rivoluzionando per sempre la Chiesa, è anche il padre della letteratura italiana: il Cantico delle Creature, che egli compose intorno al 1224 (quarant’anni prima che nascesse Dante Alighieri), è il primo testo della nostra tradizione poetica. È una lode meravigliosa («Laudato si’») alla natura e alle sue creature, dove l’acqua è chiamata “sorella” e il sole “fratello”, che oggi è divenuta persino un manifesto ecologico. Dalle parole di un santo, prima ancora che di un poeta, ha avuto dunque origine la poesia italiana.


Non tutti sanno però che anche l’arte moderna è nata, sebbene più indirettamente, da San Francesco. Una settantina d’anni dopo la sua morte (siamo nel Medioevo: poco prima del 1300), i più grandi artisti del tempo si riunirono nella Basilica di Assisi per raffigurare la vita del santo (Fig. 1). Fra costoro c’era anche colui che è considerato il padre della pittura moderna: Giotto di Bondone. Sfogliando un manuale di storia dell’arte, infatti, potreste imbattervi in un capitolo che ha come titolo: “Giotto il rivoluzionario”; oppure: “La rivoluzione di Giotto”. Senza esagerare si può dire che tutta l’arte occidentale, dal Rinascimento ai giorni nostri, è nata dalla rivoluzione di Giotto.


Figura 1. Basilica di San Francesco d’Assisi (esterno). (credito d'immagine: Francesco Chiari, 2023. )



Ma in cosa consiste questa rivoluzione? Le ragioni sono tante; una su tutte: Giotto ha scoperto la realtà. Prendete un’opera precedente, per esempio un’icona bizantina: vedrete un santo non realistico, rigido, piatto, bidimensionale. Giotto ha dato invece un’espressione ai suoi volti, un volume ai suoi corpi. Ha scoperto il 3D, la profondità, il volume, lo spazio. Cose del genere si erano viste solo nella scultura: Giotto è riuscito a trasformare la pittura in scultura.


Le sue figure sono reali: il suo Cristo (Fig. 2) che si può ammirare a Santa Maria Novella, a Firenze, è il primo Cristo della storia dell’arte il cui corpo ha un peso, è soggetto alle leggi della gravità: è un corpo umano che

pende da una croce. Giotto ha dato un corpo a Dio.

Figura 2. Giotto. the-crucifix-1290-1300 Florence, Santa Maria Novella In Wikipedia.


Figura 3. Storie di san Francesco. (2023, June 2). In Wikipedia.

E così San Francesco, nel ciclo di affreschi dipinto ad Assisi (Fig. 3), non è un santo disincarnato, ma vive, gioisce, soffre, compie delle azioni. Qualche critico ha notato che l’ideale di Giotto è qui teatrale, drammatico: i suoi personaggi, proprio come a teatro, parlano il linguaggio dei gesti; sono fotografati col pennello nell’esatto momento in cui stanno compiendo un’azione memorabile, rappresentativa, come quando San Francesco si spoglia di fronte al padre e al vescovo di Assisi (Fig. 4), o predica agli uccelli (Fig. 5), oppure scaccia i diavoli dalla città di Arezzo (Fig. 6).

Del resto, Giotto doveva raccontare la vita del santo anche a chi non sapeva leggere: chi sarebbe andato ad Assisi, povero o ricco, colto o ignorante, avrebbe compreso il messaggio francescano solamente correndo con lo sguardo lungo le pareti della Basilica.


C’è qualcosa di profondo e carnale in Giotto. Soffermandosi sulla celebre Maestà di Ognissanti esposta agli Uffizi (Fig. 7), il noto storico dell’arte statunitense Bernard Berenson ha sostenuto che per guardare l’opera, per capirla, non basta la vista, ci vuole il tatto. Rispetto alle madonne precedenti, quella di Giotto veicola dei «valori tattili», stimola la nostra immaginazione tattile: quando la si osserva sembra di poterla toccare; per gustarla appieno occorre tastarla con lo sguardo.


Certo, abituati come siamo ai pittori venuti dopo il Rinascimento, Giotto può sembrarci ancora ingenuo, grezzo, troppo ancorato al Medioevo. Io credo invece che sia il più grande pittore mai esistito: proverò a mostrare perché.


Giotto di Bondone nasce, probabilmente, il 1267 a Vicchio (Fig. 8 e Fig. 9), un pittoresco comune del Mugello, in Toscana (noto per aver dato i natali anche a un altro grande della pittura: Beato Angelico). Morirà a Firenze, l’8 gennaio 1337. Purtroppo, della sua vita sappiamo pochissimo (non siamo sicuri neanche della data e del luogo di nascita); ma intorno alla sua figura leggendaria sono sorti, nei secoli, numerosi aneddoti.


Figura 8. Vicchio. (2023, July 21). In Wikipedia. Figura 9. Casa di Giotto - Vecchio (credito d'Immagine Discover mugello)



Figura 10. Ponte di Cimabue (credito d'Immagine Il Filo)

Pare che il pittore fiorentino Cimabue, passando per il ponte di Vicchio che oggi porta il suo nome (Fig. 10), avesse visto il fanciullo Giotto, allora un pastore, disegnare una pecora su una pietra: rimase talmente colpito dall’abilità del ragazzo che decise di prenderlo con sé diventando suo maestro. Ma come spesso accade l’allievo supererà (anche in fama) il maestro: ce lo ricorda lo stesso Dante in una celebre terzina: «Credette Cimabue ne la pittura / tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, / sì che la fama di colui è scura» (Purgatorio XI, vv. 94-96). Vi sono tante altre storie: Boccaccio, in una novella, ci racconta di Giotto come di un uomo estremamente umile e spiritoso. Ma l’aneddoto più famoso, divenuto proverbiale in tutto il mondo, è quello del cerchio. Papa Bonifacio VIII era alla ricerca di un artista cui commissionare un ritratto. Quando il funzionario papale, con tutto il suo seguito, giunse da Giotto, gli chiese uno schizzo per valutarne la bravura. Di fronte allo stupore dei presenti, Giotto disegnò un cerchio, un cerchio talmente perfetto che il funzionario non credeva ai suoi occhi. Fu così che il pittore andò a Roma a lavorare per il Papa.


Figura 11. Campanile di Giotto (credito d'Immagin: Margherita Marullo)




Ma, più che ai cerchi, la firma stilistica di Giotto è legata ai quadrati, ai rettangoli, ai cubi. Giotto fu anche architetto; e fu l’architetto, nientemeno, che del Campanile di Giotto (Fig. 11), quello che svetta in piazza del Duomo, a Firenze, sulla cui cima sono saliti milioni di visitatori nel corso dei secoli. Questa vocazione architettonica è forte anche nella sua pittura: contemplando gli affreschi di Giotto troverete edifici, case e palazzi, ancora disegnati con una prospettiva intuitiva, ma con una spazialità razionale, ordinata, cubica. In questo senso, in Giotto lo spazio significa anche silenzio, il vasto e misurato silenzio della spiritualità. Roberto Longhi, uno dei più grandi storici dell’arte di tutti i tempi, scriverà un articolo dal titolo “Giotto spazioso”. Ma la rivoluzione spaziale di Giotto non si esaurisce nella sua epoca: ai primi del Novecento molti artisti predicarono un ritorno all’arte prerinascimentale e ai pittori che chiamavano “primitivi”, come Giotto. Il pittore futurista Carlo Carrà farà addirittura un manifesto predicando un ritorno a Giotto. In un modo che non posso approfondire, il cubismo deve moltissimo al «Giotto spazioso»: egli ha inventato il cubismo sei secoli prima che lo scoprisse Picasso.


Un’altra curiosità: per gli intellettuali del primo Novecento Giotto era l’artista che meglio incarnava lo spirito toscano, l’essenza stessa della toscanità. Uno dei più grandi poeti del Novecento, Dino Campana, anch’egli nato, come Giotto, in un paese del Mugello non distante da Vicchio, cioè a Marradi, scrisse un testo enigmatico, una specie di indovinello, dal titolo Toscanità dove viene rammentato Giotto con le sue madonne (probabilmente quella degli Uffizi): essere toscani, almeno per Dino Campana, significa avere qualcosa dell’arte di Giotto. Ma cosa? In una società come la nostra, allo stesso tempo caotica e superficiale, Giotto ha saputo trasmettere ordine e profondità. La sua arte è austera, ma interiore; semplice, ma profonda: ed ecco la sua vera grandezza; ed ecco, forse, una caratteristica dell’essere toscani.


Figura 12. Capella degli Serovegni (credito d'Immagine Padova Musei Civici)




Ma Giotto non ha lavorato solo ad Assisi, a Firenze o a Roma. Un gioiello d’Italia, patrimonio dell’Unesco, è la Cappella degli Scrovegni a Padova, interamente affrescata da Giotto, tra il 1303 e il 1305 (Fig. 12). La Cappella degli Scrovegni è un luogo sacro per gli artisti o per gli amanti dell’arte. Ha innumerevoli primati: contiene, per esempio, il primo bacio della storia dell’arte, quello tra i genitori di Maria, Gioacchino e Anna (Fig. 13). Contiene, addirittura, il primo esempio di prospettiva, un secolo prima che fosse teorizzata dagli artisti del Rinascimento.


Figura 13. Giotto, Incontro alla porta d’Oro. (credito d'Immagine Padova Musei Civici) Figura 14. Giotto, Volta stellata della Cappella degli Scrovegni. (credito d'Immagine Padova Medievale)





Ma fra le tante meraviglie della Cappella degli Scrovegni vorrei, per concludere, parlare di un colore che domina la volta stellata della Cappella, un colore divenuto talmente famoso da prendere il nome del suo artista: il “blu Giotto” (Fig. 14). Il blu Giotto è una varietà del blu oltremare (un blu preziosissimo, di lapislazzuli, così chiamato perché proveniente da “oltre mare”, oltre il mar Mediterraneo, cioè dall’Oriente, da cui provenivano i lapislazzuli). Il blu Giotto è un colore ricco, spirituale; ma anche fisico, gioioso. È il colore della Terra vista dallo spazio. È un colore caldo e freddo al contempo. Tuttavia difficilmente un cielo stellato, almeno qua sulla Terra, ha il colore che Giotto gli ha dato nella Cappella padovana. Eppure lui, il pittore della realtà, il rivoluzionario, vedeva il cielo in quel modo. Credo che il cielo abbia quel colore solo in Toscana, nella valle dell’Alto Mugello: qualche volta, lontano dalle città, nella tarda primavera, quando comincia a imbrunire e spuntano le primissime stelle, potreste vedere il cielo toscano tingersi del blu Giotto; quel cielo che il pittore di Vicchio vide e si portò con sé, negli occhi e nella tavolozza, dalla Toscana in Veneto, nel Nord Italia; quel cielo pacifico e profondo, corporeo e spirituale, che sembra di poterlo toccare, che ha il colore del mare.



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