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DINO CAMPANA: Un Ritratto

ART & CULTURE

Leonardo Chiari

30 June 2023

FOTOGRAFIA DEL GRANDE POETA: DINO CAMPANA


Occhi azzurri, biondo rame, viso terso, Dino Campana nacque a Marradi, nell’Appennino tosco-romagnolo, in provincia di Firenze, il 20 agosto 1885, sotto il segno del leone; un leone come quello che si arrampica sulla cupola rossa di Marradi, come quello che giace mansueto, nelle raffigurazioni, ai piedi di Orfeo. Somigliava a un fauno, a una creatura dei boschi. Somigliava a un antico soldato germanico, sperduto nei paesi del Sud. Fu autore di un solo libro, i Canti Orfici, che pubblicò a Marradi nell’estate del 1914, quando aveva quasi trent’anni, alle soglie della prima guerra mondiale.


"Serve ad ammazzare la gente quel libro," dirà lo stesso Campana, molti anni dopo, allo psichiatra Pariani, nel manicomio di Castel Pulci. Quel libro è uno dei più grandi capolavori del Novecento. L’aggettivo “Orfici” viene da Orfeo, il primo poeta, il mitico cantore greco, figlio di Apollo e della musa Calliope, che con la sua lira e il suo canto ammansiva le belve, piegando la natura al suo volere. Orfeo era innamorato di Euridice. Ma un giorno ella, fuggendo da un aggressore, fu morsa da un serpente, e morì.

Orfeo innalzò allora un canto talmente bello che commosse gli dèi, che gli concessero di scendere negli inferi per riprendersi la sua amata, a patto che durante la risalita non si voltasse indietro per guardarla. Ma mentre saliva dagli inferi tenendo per mano l’ombra di Euridice, Orfeo non resistette, si voltò indietro. Così ella fu inghiottita per sempre nel regno dei morti. Da allora il poeta andò vagando per i campi. Lo trovarono le baccanti invasate del dio Dioniso che gli chiesero di fare un’orgia con loro, ma egli rifiutò. Le baccanti furiose fecero allora strazio del suo corpo, smembrandolo.


I Canti Orfici sono il racconto di un viaggio alla ricerca di una figura femminile evanescente, che assume diverse sembianze, dalla matrona alla prostituta, dalla chimera alla piovra; che come Euridice appare e scompare, come un’ombra, tra le pagine del libro. Anche il finale riprende l’immagine di Orfeo smembrato dalle baccanti; sono versi di Walt Whitman: "They were all torn and cover’d with the boy’s blood."


La chimera, figura mitologica che in Campana ha le fattezze di una femmina alata con corpo di leone, è una delle protagoniste dei Canti Orfici: il suo corpo, specialmente nell’immagine dell’ala, si trova disseminato lungo molti testi, oltre che nel celebre componimento che s’intitola appunto La Chimera. È come se il poeta, personificandosi in Orfeo, fosse all’inseguimento della sua Euridice, donna-fantasma, chimerica, che lascia tracce lungo il suo cammino.


Torre dell'orologio di Marradi con il suo leone

L’inseguimento, narrato in prose e poesie, avviene attraverso mari e monti, attraverso città quali Faenza, Firenze, Bologna, Genova; attraverso l’Appennino, il Mar Mediterraneo, la Pampa argentina. In una sorta di romanzo di formazione, che rispecchia poi il viaggio ultraterreno di Dante, si incontrano personaggi bizzarri, luoghi sacri, profani, frammenti di vita naturale e urbana, mondi di sogno, di incubo.


Il poeta si immerge nel suo inconscio; ma il suo destino tragico è quello dell’umanità intera, di cui lui è simbolo e sacerdote. Il tratto dominante della sua penna, una specie di firma stilistica, è la ripetizione: tutto ritorna leggermente variato, ogni volta, come una melodia. Dietro questa idea si cela la dottrina dell’Eterno Ritorno di Nietzsche.


Ma se si dovesse dire in un solo motto ciò che rende grandi i Canti Orfici forse si dovrebbe dire: la trasfigurazione mitica del reale. Tutto, nei Canti Orfici, viene trasformato in mito, anche, e soprattutto, il dato biografico, che è onnipresente. Per esempio, ne "La Notte," la prosa d’apertura, Campana mitizzando fornisce un autoritratto giovanile di sé, di quando è studente di chimica a Bologna (studi che non terminerà).

Leonardo Chiari, Dino Campana (ritratto), acrilico su tela, 2017


Dopo essersi identificato in Faust, il celebre eroe mitico di Goethe, scrive:


Oh! ricordo!: ero giovine, la mano non mai quieta poggiata a sostenere il viso indeciso, gentile di ansia e di stanchezza. Prestavo allora il mio enigma alle sartine levigate e flessuose, consacrate dalla mia ansia del supremo amore, dall’ansia della mia fanciullezza tormentosa assetata. Tutto era mistero per la mia fede, la mia vita era tutta un’ansia del segreto delle stelle, tutta un chinarsi sull’abisso. Ero bello di tormento, inquieto pallido assetato errante dietro le larve del mistero. Poi fuggii.


Coltissimo, errabondo, irrequieto, conosceva le lingue, trascorreva giornate intere nelle biblioteche sprofondando nei libri, camminava nei monti, adorava il mare. Andò a piedi, oltre le Alpi, fino in Svizzera, e poi fino a Parigi; s’imbarcò alla volta dell’America Latina, in Argentina, dove fece ogni sorta di lavoro, pianista nei locali, manovale, persino pompiere; neanche un anno dopo il suo ritorno dall’America lo ritroviamo in prigione a Tournay, in Belgio. La sua vita sembra una grande fuga da qualcosa di terribile. "Accanto a Campana si sentiva la poesia come se fosse una scossa elettrica, un alto esplosivo," annoterà un suo amico.


Nel settembre del 1913 affidò il manoscritto de Il più lungo giorno, ovvero le carte preparatorie dei Canti Orfici, ai futuristi fiorentini Papini e Soffici; ma loro smarrirono il manoscritto (fu ritrovato solo negli anni ’70). Il poeta si rifugiò allora a Marradi, fra le sue montagne, e avvalendosi di altre carte scrisse il suo capolavoro, i Canti Orfici. Circa due anni dopo la pubblicazione, conobbe Sibilla Aleramo, una scrittrice molto conosciuta allora nel mondo letterario italiano. Fra i due scoppiò una storia d’amore tempestosa che si concluderà poco tempo dopo: a testimonianza restano lettere intense, tragiche, bellissime.


Nel gennaio del 1918, non ancora compiuti i 33 anni, Dino Campana fu internato nel manicomio di Castel Pul-ci, presso Badia Settimo (Firenze). Non uscirà mai più. Morirà, forse di setticemia, il 1° marzo 1932. Ma c’è un fatto che domina sull’incredibile vita di Campana: è lui stesso a dircelo. Nel 1900, quando il poeta aveva 15 anni, dovette avvenire qualcosa di terribile, una tragedia, forse un incidente. Nessuno ha mai scoperto cosa sia accaduto: l’evento più importante della sua vita è un mistero. Ma egli dovette sentire questo fatto dell’adolescenza, una colpa originaria, proprio come av-viene agli eroi nella tragedia greca ̶ una colpa da espiare. Ecco infatti un suo biglietto di presen-tazione dove parla di sé in terza persona, che probabilmente doveva comparire da qualche parte nei Canti Orfici:


Dino Campana nacque il 20 Agosto 1885 in Marradi […] All’età di quindici anni colpito da confusione di spirito, commise in seguito ogni sorta di errori ciascuno dei quali egli dovette scontare con grandi sofferenze. Conservò l’onore, benché ormai esso non gli servisse più a nulla e, come a testimonio di sé medesimo, in varii intervalli della sua vita errante scrisse que-sto libro. Le ultime notizie di lui si hanno dalle montagne della Romagna Toscana.


Marradi (veduta), fotografia di Leonardo Chiari, 2023




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